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Le epidemie di ergotismo nell'XI secolo
Dante Coltella
Originalmente pubblicato in Pagine di Storia della Medicina, vol. 13, pp. 68-77, 1969


L’ergotismo, cioè l’avvelenamento cronico da segale eornuta, fu causa di frequenti e paurose epidemie, finché ne rimase ignota l’eziologia.
La segale cornuta, di cui Plinio parla in modo sprezzante, era annoverata dai popoli dell’antica età tra le male erbe, e il pane che si ricavava da essa si reputava di difficile digestione; solo nelle terre alpine si coltivava questo cereale che meglio tollera il freddo.
La storia non ci riporta fatti epidemici relativi al periodo italo-romano e ai primi secoli dopo Cristo.
Le prime notizie su vere e proprie epidemie di ergotismo sono piuttosto tarde. La malattia si manifestò per la prima volta in Francia (nazione preferita dalla malattia) intorno al 590 dell’era cristiana. Per due secoli non si fa menzione, finché riappare nell’anno 857, e da allora le intossicazioni a carattere epidemico si susseguirono numerosissime in Francia, in Germania, in Russia, in Inghilterra, ed in altri paesi del Nord Europa fino a tutto l’800: le ultime due gravi epidemie si ebbero in Russia nel 1926 e in Irlanda nel 1929.
Oggi l’ergotismo può considerarsi scomparso, almeno come forma diffusa a intere collettività, grazie alla facilità con cui può essere prevenuto.
L’undicesimo secolo fu funestato da ben quattro terribili epidemie, rispettivamente nel 1042, nel 1066, nel 1089, nel 1094. La più terribile fu quella del 1089, quando, come riferisce il cronista Sigiberto di Genbloux, «a molti le carni cadevano a brani, come li bruciasse un fuoco sacro che divorava loro le viscere; le membra, a poco a poco rose dal male, diventavano nere come carbone. Morivano rapidamente tra atroci sofferenze oppure continuavano, privi dei piedi e delle mani, un’esistenza peggiore della morte; molti altri si contorcevano in convulsioni».
Questi choc fisici si lasciavano dietro turbe mentali e sensoriali, quando queste non erano già manifestazioni primarie della stessa malattia.
La descrizione del nostro cronista mette a nudo i due quadri nosologici con cui si presenta l’intossicazione cronica da segale cornuta, e cioè la forma gangrenosa e la forma convulsiva.
Quando infatti la malattia assume carattere gangrenoso, le estremità, specie in corrispondenza delle regioni distali, diventano, dopo alcuni giorni, tumefatte, violacee, presentando alterazioni dall’aspetto flogistico e sono sede di furenti dolori. In seguito la cute di queste regioni assume un colorito sempre più scuro, quasi nero; la parte si fa fredda, si essicca, si raggrinza, sembra mummificarsi, perde ogni sensibilità e può amputarsi spontaneamente in corrispondenza delle articolazioni.
Le lesioni sono sostenute da uno spasmo delle pareti arteriose, cui segue grave degenerazione a causa soprattutto dell’ostruzione trombotica dei vasi.
La forma convulsiva invece è caratterizzata da un decorso più cronico. I sintomi assumono più spiccatamente carattere nervoso: si hanno parestesie, atassia, scomparsa dei riflessi profondi. Dopo alcune settimane compare la sindrome tipica caratterizzata da accessi convulsivi e spasmi tonici, specie degli arti, i quali assumono posizioni particolari, cioè in forte flessione in tutte le articolazioni, da ostacolare la circolazione nelle parti distali, che divengono edematose e cianotiche.
Le crisi, che possono colpire anche il diaframma e i muscoli laringei provocando dispnea e, nei casi gravi, morte per asfissia, si ripetono a intervalli più o meno regolari e sono accompagnati da violenti dolori.
I disturbi psichici, che possono manifestarsi anche tardivamente, sono rappresentati o da una sintomatologia pseudoneurastenica, con difficoltà nell’elaborazione del pensiero e deficienza di iniziativa, o, nei casi gravi e avanzati, da una certa confusione, da uno stato di stupore interrotto spesso da improvvise crisi di agitazione motoria. Possono essere rappresentati anche da allucinazioni visive e idee deliranti accompagnate da angoscia; in alcuni casi si ha l’esito letale, in altri possono residuare stato ansioso, irritabilità, modificazioni profonde del comportamento, disposizione ad accessi convulsivi.
Le due forme, la gangrenosa e la convulsiva, possono coesistere nella stessa epidemia. Si ha motivo di ritenere che i malati di ergotismo, data la variabilità e la gravità delle manifestazioni morbose, fossero ritenuti lebbrosi o pestosi e perciò ricoverati negli xenodochi dove venivano contagiati proprio dalla peste e dalla lebbra, presentando cosi un quadro morboso dagli aspetti sintomatologici più vari e più atipici.
Se pensiamo che in quel tempo vi erano molte altre epidemie, ci renderemo conto quanto aleatoria e inesatta possa essere la determinazione delle morbilità per singole malattie epidemiche; anzi, sotto la denominazione comune di lebbra o di peste, potevano comprendersi svariate affezioni dermatologiche, come potevano essere considerati invasati dalle divinità malefiche coloro che erano affetti da particolari forme nervose o neuropsichiche.
Ancora non si conosce la vera causa dell’instaurarsi dell’una dell’altra forma di ergotismo. Si è data importanza ai vari costituenti della segale cornuta e alla contemporanea esistenza nell’organismo di una condizione disvitaminosica.
Il tipo gangrenoso è sempre stato più frequente in Francia e nei paesi caldi, quello convulsivo in Germania e nei paesi freddi. Alla luce di questi riferimenti storici e di quanto viene riportato dai climici moderni sul meccanismo della manifestazione delle due forme, possiamo immaginare che queste fossero favorite dalle particolari condizioni climatiche e da disvitaminosi legate al tipo di alimentazione e alla stessa carenza alimentare.
Il freddo infatti favorisce gli spasmi; il caldo, i disturbi circolatori da stasi. Inoltre, nei paesi nordici noti per l’alimentazione ricca di grassi poteva esistere uno stato di ipervitaminosi A e contemporaneamente uno stato di ipovitaminosi B e C, responsabile dei disturbi neurocircolatori. Infatti la ipervitaminosi A viene inibita dalla vitamina B specialmente in unione con la vitamina C e dalla vitamina C specialmente in unione con la vitamina B.
L’olio di fegato di merluzzo (A e D) provoca in determinate circostanze una ipovitaminosi C: la vitamina C viene distrutta a poco a poco se mescolata con olio di fegato di merluzzo. D’altronde, la ipovitaminosi A può aver favorito i disturbi circolatori, per la mancanza di azione epitelioprotettiva e epitelioriparatrice.
Ma, se la storia è evoluzione del pensiero, se la storia è analisi critica dell’evento storico, noi non possiamo non tenere in debita considerazione le cause che lo hanno determinato o favorito.
Il secolo XI è il secolo che segna l’apogeo delle conseguenze scaturite dal dominio della potenza araba, iniziata nel 632 e decaduta nel 1096 (periodo islamitico), delle invasioni e dei movimenti dei popoli europei.
I dominatori arabi, barbari feroci e rapidi nelle loro conquiste. vivevano sul lavoro dei vinti, sottraendo al commercio europeo e alla civiltà europea ogni regione conquistata; il commercio si articola intorno al Golfo Persico e ogni comunicazione commerciale viene impedita anche con metodi violenti come l’internamento del Canale dal Nilo al Mar Rosso, avvenuto nel 761, e che era servito regolarmente al traffico dei Romani.
Le invasioni germaniche, apportatrici di desolazione e di morte, furono causa di spostamenti, di emigrazioni di intere popolazioni e specialmente dei coloni. I Germani, sottoposti peraltro all’opera di evangelizzazione, non fissavano le loro sedi in città, ma in aperta campagna. Spesse volte gli occupanti erano gli stessi eserciti alleati e allora venivano a patti coi vecchi abitatori accontentandosi delle terre deserte; più spesso però imponevano la consegna di un terzo o due terzi del suolo; talvolta spogliavano completamente delle proprietà gli abitatori antichi, i quali continuavano a coltivare il territorio in qualità di coloni tributari.
Decadono le condizioni economiche, con lo sfasciarsi di tutto l’ordinamento statale antico; decade la grande industria e il grande commercio: l’uomo ritorna alla terra e trova garanzia all’assistenza attorno alla curtis o villa o nel latifondo.
Si ha un risveglio mediante un nuovo ordine di cose con Carlo Magno; segue però un periodo di battaglie e di rovine favorito dai suoi successori e dalle pressioni e invasioni degli Slavi e degliAvari, degli Ungari, dei Normanni, dei Saraceni, degli Arabi.
Lo scopo di queste invasioni non era la conquista, bensì il saccheggio e la rovina. Gli abitanti, protetti dalla saldezza delle mura, vedevano regolarmente arse le campagne, distrutte le messi, le piantagioni e le case, il bestiame e i cultori trascinati via. L’Europa cade così in una spaventosa depressione economica.
In tutti i campi, si rivelano, nell’XI secolo, debolezze strutturali e deficienze di base: una tecnica e una economia ancora allo stato di arretratezza, una società dominata da una minoranza di sfruttatori e dilapidatori, fragilità dei corpi, instabilità emotiva, strumenti intellettuali allo stato primitivo, predominio di una ideologia che predica il disprezzo del mondo e della scienza profana.
Accanto a questi elementi, indubbiamente negativi, si pongono altri motivi apparentemente positivi e che, determinatisi nella seconda metà del secolo, rientrano anch’essi nel favorire e determinare l’evento che stiamo trattando; e questo ci conferma ancora di più come un dato storico sia al tempo stesso un punto dì partenza e un punto di arrivo.
Intanto, quello che subito colpisce è il carattere «popolare » delle epidemie; esse colpivano infatti le popolazioni più povere, dove più evidente era lo stato di denutrizione e di ipovitaminosi.
Un altro carattere generale che subito emerge è la presenza delle epidemie più spiccatamente nell’Occidente e precisamente nell’Occidente cristiano, dove più evidente appare il senso della interdipendenza, dell’articolarsi degli strati sociali intorno a un unico centro facente capo all’assolutismo economico e religioso, dove manca il senso della libertà nomade del mondo Orientale, ricco di prodotti vari nei confronti dell’Occidente cristiano povero di materie prime.
L’uomo dell’XI secolo ci appare impotente di fronte alla natura, non nel senso della sua dipendenza dalla foresta, nella quale pur timidamente si insinua, ma nel senso soprattutto dell’incapacità di trarre dal suo suolo un nutrimento sufficiente per quantità e qualità.
La terra è infatti la realtà fondamentale dell’Occidente cristiano nel Medioevo. La terra è la base dell’economia in un’economia essenzialmente di sussistenza, dominata dalla semplice soddisfazione dei bisogni elementari.
Il verbo latino che esprime l’idea del lavoro, laborare, trasmesso prima dall’epoca monastica e dall’epoca carolingia poi, significa essenzialmente lavorare la terra, dissodarla, rivoltarla.
Fondamento della vita economica, la terra è la base della ricchezza, del potere, del prestigio sociale. La classe dominante, aristocrate e militare, è al tempo stesso la classe dei grandi proprietari terrieri. Ma è una terra ingrata, poiché l’inefficienza degli utensili impedisce di scavarla, di dissodarla abbastanza energicamente e abbastanza a fondo da renderla fertile.
L’antico aratro di legno, senza ruote e a ruote, la debolezza della trazione per mezzo dei buoi, non permettono di trarre vantaggi notevoli. Si aggiungano l’insufficienza del concime, il pagamento di canoni in letame sotto forma di «mastelli di letame » o sotto forma di obbligo di tenere per un certo numero di giorni le mandrie e le greggi sui terreni padronali affinché vi lascino gli escrementi; il ricorso alle ceneri di erbe o di cereali che per questa ragione il contadino taglia a metà altezza; tutti questi fattori spiegano il basso rendimento delle culture. A questo si aggiunga la mancanza di riposo dei terreni coltivati e la loro impossibilità di poter sostenere un certo ritmo imposto dalle necessità della produzione, la loro sostituzione con altre terre conquistate alle culture mediante incendi.
In simili condizioni, l’inclemenza del tempo dovuta a piogge eccessive, siccità, e l’insorgenza di malattie di piante o attacchi di insetti, fa scendere i raccolti al di sotto del minimo di sussistenza; per l’uomo dell’XI secolo la carestia è una minaccia sempre presente. Spesso si tratta di carestie generali.
Ma, anche quando si localizzano in una regione, difficilmente le popolazioni vi pongono rimedio, perché la debolezza dei rendimenti, lo spirito egoistico e particolaristico, l’insufficienza dei trasporti, impediscono la costituzione di importanti riserve di cibo e il passaggio dei generi alimentari da una regione all’altra.
Naturalmente le carestie generali, come quelle del 1005-1006, 1032-33, 1043-45 e 1090-95 hanno effetti catastrofici a causa della ripetizione di cattivi raccolti e lasciano i periodi intervallari in uno stato di desolazione e di fame.
Durante la carestia del 1032-33, scrive Raoul Glaber: «dopo aver mangiato le bestie selvatiche e gli uccelli, gli uomini si misero, sotto la sferza di una fame divorante, a raccogliere, per mangiarle, ogni sorta di carogne e di cose orribili a dirsi. Certi, per sfuggire alla morte, ricorsero alle radici delle foreste e alle erbe. Una fame rabbiosa spinse gli uomini a cibarsi di carne umana. Viaggiatori erano rapiti da uomini più robusti di loro, le loro membra troncate, cotte sul fuoco, divorate.
Molte persone che si trasferivano da un luogo all’altro per fuggire la carestia e lungo il cammino avevano trovato ospitalità, furono sgozzate durante la notte e servirono di cibo a coloro che le avevano accolte. Molti, mostrando un frutto o un uovo a qualche bambino, lo attiravano in luoghi appartati per massacrarlo e divorarlo. In molti posti i corpi dei defunti furono strappati alla terra e anch’essi servirono a placare la fame. Nella regione di Macon molti traevano dal suolo una terra bianca simile ad argilla e la mescolavano con quel tanto di farina o di crusca che avevano e con questo miscuglio facevano pani grazie ai quali contavano di non morir di fame; pratica che peraltro dava soltanto una speranza di salvezza e un sollievo illusorio. Non si vedevano che visi pallidi ed emaciati; molti avevano la pelle tesa da gonfiori; le voci stesse erano diventate esili, simili al fioco grido di uccelli morenti...».
Racconti analoghi si trovano in tutti i cronisti dell’epoca.
Si aggiungano i danni legati alle occupazioni, direi quasi, professionali dell’aristocrazia: la guerra e la caccia. Le guerre erano sistematicamente distruttive in quanto lo scopo che si proponevano era di attaccare la potenza economica e sociale dell’avversario (con l’incendio e la distruzione dei raccolti, degli edifici, dei villaggi), più che a batterlo militarmente. La caccia riservava all’aristocrazia immense tenute che in tal modo venivano sottratte all’espansione lavorativa dei contadini.
L’azione della Chiesa, con l’obbligo di pagare le decime sui prodotti della terra e sul bestiame, è addirittura paralizzante. Il disprezzo che essa insegna per le cose terrene, rafforza la mentalità antieconomica, l’abbandono dell’iniziativa, la sottomissione a una struttura sociale che è considerata sacra, di natura divina. La Chiesa è complice e al tempo stesso impotente di fronte all’aristocrazia feudale e in tal modo partecipa all’oppressione delle masse.
E’ da notare altresì che l’XI secolo appartiene all’epoca delle paure collettive, è quello in cui il diavolo prende il posto nella vita quotidiana; gli uomini trovano rifugio e speranza solo nel soprannaturale; cresce la sete dei miracoli, s’intensifica la caccia alle reliquie, ci si abbandona al misticismo. Il disperezzo del mondo, il contemptus mundi, trova eloquente espressione in vari autori ma sopratutto in Pier Damiani (1007-1072).
La scienza monastica ripiega su posizioni mistiche e, anche dove i centri culturali sono senza dubbio i più vivi, come quelli di Pavia e di. Milano, si assiste a una puerilità, a una insipienza impressionanti.
Ma l’età che noi stiamo trattando, intessuta delle caratteristiche menzionate, è pur tuttavia l’età di un risveglio, di uno sviluppo, di un progresso.
Questo sviluppo, questo progresso si annunciano già nel decennio 1050-1060. Se presenta numerose debolezze e deficienze, il mondo medioevale dispone anche di stimolanti e punti di forza.
E’ necessario analizzarli poiché, come si è detto, pur apparendo positivi, possono giustificare alcune caratteristiche delle epidemie di ergotismo.
Il più importante, dal nostro punto di vista, è lo sviluppo e l’espansione demografica. Già manifestatasi nei primi decenni del secolo XI, essa appare in continuo aumento e viene a sopperire ampiamente le perdite dovute all’epidemie, alle carestie, all’endemica fragilità costituzionale.
Parallelamente o, per meglio dire, alla base, sta un miglioramento dell’agricoltura che, apportando nuovi e più redditizi metodi e strumenti, incrementa anche il progresso artigianale e industriale.
Questa espansione demografica ed economica permette la formazione e lo sviluppo di centri di consumo: le città, dove sì svolgono esperienze tecniche, sociali, artistiche, intellettuali. Conseguentemente aumentano di circa un terzo il numero delle bocche da sfamare, dei corpi da vestire, delle famiglie cui dare alloggio, mentre le campagne si spopolano.
Si creano così delle condizioni particolari di fronte alle quali il progresso e l’esperienza non sono abbastanza preparati e agguerriti.
Lo sviluppo agricolo porta un diverso trattamento del terreno,una diversità di utilizzazione dei cereali. Mentre nella Germania Settentrionale, in Scandinavia, in Inghilterra, primeggia l’orzo, come principale cereale panificabile in Polonia, ad esempio, si ha il passaggio dalla coltura del miglio a quella di cereali, tra i quali appunto la segale, comparsa come erba parassita mescolata al frumento e che assume una posizione di primo piano.
L’arricchimento dell’alimentazione dovuto a questi progressi dell’agricoltura generalizza l’uso del pane, col quale specialmente i contadini fanno una specie di farinata e aumentano le proprie energie, ma naturalmente aumenta il consumo di cereali conta-minati dalla clavceeps purpurea.
In conclusione, il secolo XI ci appare come il secolo nel quale lo spirito umano, pur depresso a causa dì motivi esterni e insiti nella sua personalità, trae da questi l’impulso a un rinnovamento tanto urgente quanto difficile è il superare la crisi che lo stesso rinnovamento comporta.

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